I menhir di Colle Braida sul Monte Ciabergia.
Dalla loro posizione sembrano appartenere ad un grande e antico cromlech, oggi andato distrutto ad opera di ignoti.
Il menhir centrale risulta ad oggi (e dal 2017 almeno) abbattuto.
Sulle prime propaggini della Val di Susa e le porte della Val Sangone, dove il Monte Ciabergia (m 1179) sovrasta gli abitati di Avigliana e di Sant’ Ambrogio di Torino, si trovano, oltre le numerose rocce coppellate, diverse tracce di architetture megalitiche alquanto suggestive.
L’area, facilmente accessibile dal Colle Brăida, fu investigata verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso da Mario Salomone, fotografo torinese e appassionato di archeologia, e, a partire dagli anni Novanta, dagli ingegneri Giacomo Augusto Pignone e Pier Paolo Strona. Al limite della radura di Pian dei Rossi (m 1100), emergono nel sottobosco singolari allineamenti litici; qualcuno ancora eretto, alcuni posti a continuità di muretti a secco, mentre altri divelti e riversi al suolo. Un primo schieramento, che si sviluppa a segmento di cerchio, è composto da sette grosse lastre di pietra ancora infisse verticalmente nel terreno. I monoliti sono collocati, per una lunghezza di circa 7 m, uno di fianco all’altro.
Una sorta di allineamento sequenziale descritto dagli archeologi come “alignment a dalles”.
La loro attuale altezza, varia da m 1 a 1,50, la larghezza da 60 cm a un metro, e lo spessore da 6 a 20 centimetri. Anche se ad un primo colpo d’occhio queste pietre fitte sembrano comporre uno schieramento assestante, pare che in origine seguissero uno schema circolare o semicircolare con un raggio di qualche decina di metri che si sviluppava attorno ad una stele tutt’ora in piedi nel mezzo del prato adiacente (Nota di Megalitico_IT: Il menhir centrale risulta ad oggi e dal 2017 almeno, abbattuto).
La “stele”, che a quanto pare era collocata al centro di questo presunto e ampio cromlech, si fa notare per la sua caratteristica forma ad “obelisco”. Una sagoma omogenea slanciata e sottile alta circa m 1,50, una rudimentale squadratura di 30 cm di lato che va ad ammorbidirsi sulla guglia; forme che rimandano alla stele del Lago della Ratà ira (Valle Ellero). Alla base del monolite, è ancora ben evidente una modalità d’impianto costituita da una robusta “zeppatura” realizzata con pietre piatte e scaglie disposte parallele al manufatto.
Infatti, la presenza di altre lastre che dovevano fare parte dello stesso perimetro, undici per l’esattezza, sono ora riverse a terra per un totale di diciotto, mentre diverse sono state asportate. La tipologia dei monoliti è la medesima; con un’altezza che va da m 1,40 fino a m 2,20, le lastre risultano sempre disposte una a fianco all’atra, e in alcuni casi ancora infisse ma vistosamente inclinate rispetto al suolo di c.a 40°. Nel complesso, l’architettura del sito di Monte Ciabergia si avvicina molto ai cromlech francesi.
Altre tracce megalitiche si trovano nel fitto del bosco, si tratta dei cosiddetti “Roc dal Capèrl (massi col cappello), roccioni sovrapposti da una grande pietra erosa dai ghiacci e dai venti. Una di queste singolari pietre, della grandezza di m 3,30, si trova posta su un masso di ben 6 metri di altezza.
Con molta probabilità la collocazione dei cosiddetti “cappelli” è artiticiale. Infatti, per tenere i massi saldamente ancorati fra loro, sono stati praticati degli incavi su entrambe le superfici combacianti.
Fonte: Piero Barale – Le Pietre Perdute. Araba Fenice, Boves 2016.